Il Bar Luce: un film tutto da vivere

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Era ancora seduto in macchina quando il suono assordante della sveglia del suo cellulare lo fece sobbalzare. È già l’ora, si disse. La sveglia era puntata per le 10:50 di quel giorno, anche se l’appuntamento era per le 11:00. Aveva calcolato il tragitto a piedi dalla macchina alla destinazione, posteggiando nel vicino parcheggio della Fondazione Prada.

La destinazione era il Bar Luce, piccolo locale molto caratteristico situato all’ingresso della Fondazione in cui soleva trascorrere i pomeriggi dopo il lavoro. Il luogo più familiare che gli fosse venuto in mente per incontrare una persona di quel… tipo. Soprattutto, un luogo pubblico e molto affollato. 

Non si sa mai.

Questo era il mantra che aveva guidato la sua vita finora. Sempre previdente, calcolatore, preciso. Ma, alla fine, aveva deciso di mandare tutto all’aria. Tutto per vendetta. Ma ne sarebbe valsa la pena? Rischiare a quel modo? Forse c’era un’altra soluzione. Poteva sempre lasciar perdere e…

No, maledizione! Basta ripensamenti. Andrò fino in fondo stavolta. Quel bastardo deve morire, continuava a ripetersi scendendo dalla macchina.

Vincere la paura

BAR LUCE MILANO

Si incamminò verso il locale a passo svelto, deciso con la speranza di trovare un po’ di coraggio lungo la strada. Stringeva nella mano sinistra un Corriere della Sera tutto spiegazzato: era il segnale che si erano dati lui e il killer per riconoscersi.

Si sentiva soltanto il suono delle suole sul marciapiede e i clacson in lontananza mentre si avvicinava all’ingresso della Fondazione Prada dove si trovava il Bar Luce. 

Si aggiustò gli occhiali sul naso con una smorfia del viso, mentre passava accanto al grande edificio dorato della Haunted House. Lì, si fermò un attimo nel tentativo di scorgere il suo “ospite” dalle grandi vetrate che davano sugli interni. C’erano, come sempre, molte persone sedute sulla rampa d’ingresso intente a ridere e chiacchierare, ma per fortuna lui non c’era né lì né all’interno.

Un set immerso nel passato

Attraversando la porta in ferro battuto, spalancata come se lo stesse accogliendo a braccia aperte, si sentì improvvisamente più rilassato. Come se tutta la tensione accumulata fosse rimasta fuori.

Il locale era incredibilmente illuminato, grazie alle vetrate che ricoprivano quasi del tutto la parete. Entrando, la prima cosa che si notava era il grande bancone in legno di un accesso verde tiffany che copriva tutta la parete opposta all’ingresso. Ma non era uno di quei banconi sterili, minimalisti. Sembrava uscito da un caffé della vecchia Milano.

C’erano persino dei flipper in fondo, sulla destra, un vecchio jukebox e delle ampolle in vetro piene di caramelle coloratissime. Tutto il bar, in effetti, era un’esplosione di colori pastello, comprese le sedute vintage dai cuscini rosa e verde acido e i tavoli in formica.

Sembrava un vero e proprio set cinematografico, completo di scenografia: la carta da parati disposta tutt’intorno e sul soffitto ricreava le atmosfere della Galleria Vittorio Emanuele, comprese le vetrate della volta.

Ci si sentiva più a Milano lì che in qualunque altro posto, ma anche in una sorta di dimensione parallela proiettata nel passato. Un passato affascinante, quasi mitico per chi dei più giovani non poté viverlo in prima persona.

Il posto era quello di sempre: il tavolino posto dinanzi all’ultima finestra dall’entrata. Da lì sì che ci si può godere un buon cappuccino alla naturale luce del giorno. 


Il destino non aspetta nessuno

Assorto nella visione dei passanti che, incuriositi, si avvicendavano sulla passerella d’ingresso al Bar Luce, quasi non si accorse della cameriera.

Lei, d’altro canto, lo conosceva bene: lo guardava da lontano con una certa insistenza ogni volta che veniva, ma lui non l’aveva mai notata, distratto com’era. Le faceva una gran tenerezza, e poi le sembrava un uomo da bene, uno onesto con cui condividere qualcosa di speciale.

S’era infine decisa a servirlo personalmente per attaccare bottone e, chissà, magari chiedergli di uscire. Si sistemò i capelli biondi dietro l’orecchio e tirò fuori il suo sorriso più affascinante quando gli chiese: «Salve! Ha già deciso cosa ordinare signore?».

Lui si voltò lentamente, come se fosse stato scoperto a rubare chissà cosa: «In realtà ancora no. Aspetto una persona. E poi vengo qui prima di tutto per l’atmosfera che si respira. Mi rilassa incredibilmente», le disse meravigliandosi di tanta sincerità.

«In effetti, è un posto speciale», gli rispose lei. Così lui le chiese di sedersi un po’ con lui e di parlargli di quel posto così speciale. Lei, un po’ imbarazzata, si lasciò convincere alla fine e si misero a parlare come se si conoscessero da sempre.

Lei gli parlò di come Wes Anderson in persona l’avesse progettato cercando di unire insieme cibo e cinema: l’intero locale era un inno alla Milano degli anni ‘50 e ‘60, epoca che ha ispirato anche il suo corto Castello Cavalcanti, realizzato proprio per Prada.

L’idea del regista americano era quella di dar vita a un luogo che potesse “essere vissuto, con posti comodi dove sedersi, conversare, leggere, mangiare e bere” e che fosse anche “un ottimo set, ma anche un bellissimo posto per scrivere un film”.

Lui le parlò della sua passione per i suoi film, avendo notato il flipper dedicato a Le avventure acquatiche di Steve Zissou e gli arredi e i colori scelti che ricordavano un po’ le atmosfere del Grand Budapest Hotel.

In quegli interminabili cinque minuti, sperò che il mondo potesse fermarsi per lasciarli soli a quel tavolo a parlare di film e della magia del passato. Rimpianse il motivo per cui, proprio quel giorno, si trovava lì.

bar luce milano


Scambio di appuntamenti al Bar Luce

«Mi scusi!» disse lei, alzandosi in tutta fretta «Mi sono messa a divagare e non ho più preso la sua ordinazione, signor…»

«Michele. Chiamami Michele».

«Ok, Michele…» rispose lei, con un sorriso sornione. «Ti porto qualcosa?»

«A essere sincero, preferirei essere io a offrirti qualcosa, magari dopo il lavoro. Cioè, sempre se ne hai voglia…» le disse, pentendosi subito di tanta sfacciataggine. Decisamente non era da lui.

«Va bene», gli disse interrompendolo. «Io stacco alle otto. Ti aspetterò qui…», e subito tornò al bancone, quasi correndo per l’emozione.

Lui rimase a guardarla qualche secondo, assorto nei suoi pensieri. Ripensò a tutte le angherie di quel farabutto del suo superiore. A quelle parole, dette quasi per gioco: << Tagli al personale sono necessari a volte, Giacomo! Me l’hai insegnato tu, dopotutto! >>. Ripensò al lavoro di una vita, perduto in un istante. Ripensò a quel che avrebbe voluto fargli, un pensiero che adesso gli sembrava così orribile da disgustarlo. Se solo lei avesse saputo, non sarebbe stata così gentile. Così dolce.

Avvolto nel suo cappotto nero, fece il suo ingresso al Bar Luce un uomo dall’aspetto inquietante e minaccioso. Aveva un giornale ripiegato sotto al braccio. L’uomo guardò tutti i presenti da dietro gli occhiali scuri, in cerca di un uomo con un “cappotto blu scuro seduto vicino la finestra, con un Corriere della Sera piegato sul tavolo”, come recitava il messaggio. 

Avvicinandosi all’ultimo tavolo che dava sulla finestra a partire dell’ingresso, notò un giornale spiegazzato sulla sedia. E capì. Che perdita di tempo. pensò, mentre si guardava intorno un’ultima volta e usciva dal bar con un sorriso beffardo in viso.

INFORMAZIONI SULLA STRUTTURA

INFO

MENù

Piatti speciali: Costa Azzurra (Foie gras d’oie, caprino al basilico, limone, pepe), Spencer (speck, paté di fegato di maiale, brie, rucola, funghi, limone, pepe)

Vini/Birre/Bevande: Caffé, Cappuccini, Cocktails

SERVIZI STRUTTURA

Servizi offerti: Colazione, Pranzo, Brunch, Serve alcolici, Bar completo, Servizio al tavolo

Altri servizi: Area jukebox, videogames, flipper

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